In questi giorni si sta discutendo molto dei manga annunciati a Lucca Comics & Games dalle case editrici italiane. In tanti si stanno giustamente lamentando del trattamento riservato ai manga per un pubblico femminile (shōjo e josei), non solo annunciati in minor quantità ma anche introdotti sempre da preamboli che danno l’impressione che la loro presenza sul mercato abbia bisogno di una giustificazione che compensi un qualche loro peccato originale. Queste proteste sono andate in contro a una reazione dura da parte di una porzione molto rumorosa di lettori che si è prodigata a discolpare l’attuale status quo invocando le leggi del libero mercato e invitando la parte opposta ad abbandonare le etichette e a diventare lettori onnivori.
Sulla questione “libero mercato” non voglio soffermarmi molto, mi limito a evidenziare l’ingenuità con cui si attribuisce una certa infallibilità alle case editrici che stando a questi discorsi avrebbero messo da tempo in moto dei meccanismi perfetti di scelta e promozione dei titoli con cui massimizzare i guadagni a breve e lungo termine. Invece, le case editrici, come la maggior parte delle aziende in generale, sbagliano spesso e volentieri, perché dietro ogni loro scelta ci sono persone in carne e ossa soggette a bias, punti ciechi, pressioni che non possono controllare e tanti altri fattori non per forza razionali. L’assunto “ne pubblicano pochi perché vendono e venderebbero poco” sottintende inoltre una parità di condizioni nella competizione alle vendite tra questi titoli appartenenti a categorie diverse, ma basta guardarci un po’ intorno per notare che di partenza i titoli shōjo e josei non vengono trattati allo stesso modo, stroncando sul nascere qualsiasi potenziale crescita. Le campagne di marketing da parte delle case editrici per questi titoli sono pressoché nulle, così come lo sono sono la varietà delle licenze e i rischi che le case editrici si prendono con esse. L’ingresso negli ultimi anni di case editrici come Coconino con la sua Doku o di Dokusho con le sue light novel ha dimostrato come la cura nella scelta delle licenze, nella costruzione delle edizioni e nel linguaggio pubblicitario mista alla volontà di prendersi dei rischi possa dare risultati completamente inaspettati, portando al successo di autori, generi e forme artistiche che non solo la maggior parte di noi considerava invendibili ma che già in passato in contesti e in mani differenti avevano dato scarsi risultati. Perché questo non dovrebbe poter accadere anche con i titoli shōjo e josei? Il mercato è in continuo cambiamento, accettare tendenze attuali o passate come verità assolute da cui non si può scappare non ha senso.
Detto questo, arriviamo a quella che ho deciso di chiamare, non senza una punta di ironia, “la tesi del lettore onnivoro”. Quando si parla del diverso trattamento riservato ai manga shōjo e josei si incappa spesso da parte di chi sminuisce il problema in inviti ad allargare i propri orizzonti, a lasciarsi indietro qualsiasi etichetta e ad abbracciare letture di ogni tipo, propugnando una sorta di superiorità quasi morale del “lettore onnivoro” rispetto ad altri tipi di lettori. Fermo restando che io sia il primo a credere che sarebbe bello se chiunque ogni tanto cercasse di uscire dalle proprie abitudini di lettore (e non solo) per sperimentare punti di vista diversi e nuovi, rimango anche dell’opinione che quello della lettura sia un mondo estremamente personale in cui ognuno segue un proprio percorso alla ricerca di opere e voci che gli sono affini, che riflettano non solo i suoi gusti ma anche le sue esperienze di vita, la sua sensibilità, il suo retaggio culturale e i suoi stati d’animo. Questa idea del lettore di manga “onnivoro” si basa spesso sia su un’idea un po’ viziata della lettura, vista come una competizione in cui c’è chi sta sopra ad altri per via di ciò che legge, sia sulla convinzione che i manga vengano creati in una sorta di vuoto privo di influenze e che i target siano etichette che gli vengono appiccicate a posteriori per motivi esterni. È indubbio: i target non sono generi narrativi, o perlomeno non ci sono corrispondenze nette tra le narrazioni che chiamiamo “di genere”" e i target. Le storie d’azione, di fantascienza, romantiche, slice of life e così via possono essere sia shōjo che shōnen, sia seinen che josei. Questo non toglie però che questi target non rappresentino unicamente un’etichetta posticcia ma siano invece anche indizi sul contesto culturale e commerciale in cui queste opere nascono. Andare a definire delle caratteristiche precise di questi target sarebbe deleterio e controproducente, perché negli anni sono stati soggetti a fluttuazioni, mutamenti ed espansioni, ma non c’è bisogno di arrivare a tanto per comprendere in che modo il contenuto di queste opere possa essere stato influenzato da questi contesti. Gli autori che pubblicano su una rivista con un certo target potrebbero essere stati scelti in base a determinati criteri, così come a sua volta questi autori potrebbero essersi proposti a quella rivista perché guardano ad altri autori del passato legati a essa. Gli editor poi, come ben dovremmo sapere ormai, esercitano un potere notevole sul processo creativo di ciascuna opera e questi ovviamente indirizzano l’autore verso la loro idea di ciò che il pubblico cerca, editor che vengono scelti a loro volta dalle riviste guardando alle loro affinità con le strade già battute o con le nuove strade che si vogliono intraprendere. Infine, non è raro che gli autori guardino ai propri colleghi per cercare ispirazione e per comprendere meglio come funzionano determinati meccanismi, nutrendosi quindi dei manga pubblicati in contemporanea sulla rivista su cui lavorano. Questo spiega perché certi stilemi narrativi, canoni grafici, punti di vista e sensibilità possono essere più comuni sotto un target piuttosto che sotto un altro. Ecco quindi che i target si rivelano non essere più semplici etichette, ma anche ombrelli sotto cui possono abitare determinati tipi di voci. La discriminazione nei confronti di alcuni di questi target ha pertanto come conseguenza la perdita delle voci specifiche che si nascondono sotto di essi. Ovviamente, quello dei target non è un sistema perfetto, la suddivisione tra pubblico maschile e pubblico femminile è, per esempio, percepita e applicata in maniera inutilmente rigida, ma è un qualcosa che si è andato formando negli anni in base agli usi e abitudini di autori, editori e lettori, senza nessuna decisione presa a tavolino. Non si tratta quindi di qualcosa che possiamo superare senza metterci in discussione o decidendo di far finta che non esista.
Che alcune frange di lettori abbiano a cuore soprattutto le voci delle autrici legate al panorama shōjo e josei è normale. Chi sminuisce il problema invitando a essere onnivori e ad allargare i propri orizzonti è il primo a non rendersi conto dei propri bias, delle proprie inclinazioni e, spesso, della propria visione distorta del panorama editoriale. Se le etichette non danno nessuna reale indicazione del contenuto di un’opera, allora perché siamo ancora qui a parlare di manga? Quanti di questi lettori onnivori che leggono “sia shōjo che shōnen” vanno oltre il fumetto giapponese? Quanti invece sono interessati principalmente a quest’ultimo? Tanti di questi lettori di manga “onnivori” danno chance a shōnen e seinen di ogni tipo mentre guardano agli shōjo, ai josei, al resto del fumetto orientale e al fumetto occidentale esclusivamente per recuperare quelli che vengono considerati i capolavori o i grandi classici di quelle categorie (sempre se fanno almeno questo). Anche qui: non è una colpa, è normale! Ogni lettore ha la tendenza a specializzarsi in alcune categorie e a lasciarne indietro altre, con il tempo che ci è concesso su questa Terra è impossibile avere lo stesso livello di conoscenza e di padronanza di tutto. Questo succede non solo per i motivi di affinità elencati prima, ma anche perché il piacere stesso che può darci il fare esperienza di un’opera è influenzato dal grado di familiarità che abbiamo con il contesto da cui viene fuori. Un professore di letteratura giapponese avrà pertanto un tipo di esperienza di lettura con un romanzo giapponese diverso rispetto a quello che avrebbe con uno americano. Questo non significa che un professore di letteratura giapponese legga o debba leggere per tutta la sua vita solo romanzi giapponesi, ma semplicemente che è normale che ne legga molti di più! Questo stesso ragionamento si può allargare al fumetto, ai target dei manga, ma anche alle diverse forme d’arte di cui possiamo fare esperienza. Perché i paladini delle abitudini “onnivore” di lettura si fermano ai manga o alla lettura in generale? Se proprio bisogna andare dietro a questo ideale “onnivoro” non si dovrebbe forse includere anche le altre arti?
Allarghiamo i nostri orizzonti, tutti quanti, ma non illudiamoci mai neanche per un secondo di avere una visione totale del mondo. E, come sempre, cerchiamo di non pensarci come migliori di altri solo perché leggiamo di più o “tutto”.
Chiudo con una piccola nota un po’ più personale: ho sempre avuto l’impressione che chi cerca di conoscere tutto arrivi alla fine a non conoscere bene niente, ad avere una comprensione superficiale e soprattutto a non avere nulla di interessante da dire. Avere una conoscenza profonda in ambiti diversificati è possibile, ma non nel modo con cui cercano di vendercela molti influencer. Richiede passione, fatica e, soprattutto, di rinunciare a essere “onnivori” per un po’ di tempo, così da poter dedicare il giusto impegno a ciascun tema.
Ultima modifica 07/11/2023